Microeconomie nei videogiochi: guida completa a come difendersi- Parte 1

C’era un tempo felice in cui comprare un videogame era l’unica transazione necessaria per il pieno godimento dello stesso. Sempre più spesso al giorno d’oggi, invece, acquistare un videogioco è solo il primo passo di una lunga serie di esborsi che ci portano a comprare ora quel set di mappe extra, ora quel bonus per avere più punti esperienza, ora quell’armatura esclusiva che tanto dai costa solo 80 centesimi. Cosa fare oggi, al tempo delle microeconomie videoludiche?

Queste transazioni post acquisto sono diventate esponenzialmente più frequenti negli ultimi anni, tant’è che oggi in certi generi di videogame l’inclusione di tali micro-acquisti è praticamente data per scontata (vedasi il filone dei MOBA ad esempio). Una rivoluzione che ci permette di parlare, ormai senza dubbio, della presenza di vere microeconomie nei videogiochi di oggi.

Che ciò sia generalmente a favore o contro gli interessi del consumatore non vogliamo discuterlo in questo articolo: ci vorrebbero probabilmente infinite pagine per coprire a fondo anche solo una parte dell’argomento (con riferimento in particolare al polverone che s’era sollevato attorno a queste micro-transazioni negli ultimi mesi del 2017, e che aveva coinvolto titoli come Shadow of War, Call of Duty WWII e soprattutto Battlefront 2).

Ciò che vogliamo fare è invece fornirvi una breve guida su come muovervi in questo confuso mondo di acquisti, insegnandovi a distinguere fra le transazioni raccomandabili e quelle ai limiti della truffa, e dandovi una bella infarinata di terminologie e definizioni. Perché se è vero che aprire il proprio portafogli è la più grande dimostrazione di approvazione verso un prodotto, allora è meglio aprirlo solo con chi se lo merita.

1: DLC

DLC è l’acronimo di downloadable content: è la più generica definizione di un contenuto acquistabile e scaricabile. Si sono affermati a metà degli anni ’00, in concomitanza con l’ascesa di internet e dei servizi di distribuzione digitale (come Xbox Live): è in quel periodo che il termine DLC compare per la prima volta ad indicare contenuti extra scaricabili (che prima erano generalmente chiamati “espansioni”) realizzati per allungare un’esperienza di gioco con materiale aggiuntivo (sotto forma di nuove mappe, nuove missioni, nuovi scenari, ecc…)

Da allora le cose non sono cambiate, e oggi DLC indica canonicamente un contenuto aggiuntivo dalle dimensioni medio-grandi, solitamente venduto a ¼ o ½ del prezzo del gioco originale. Sono DLC ad esempio i pacchetti mappe a cui Call of Duty e Battlefield ci hanno abituato negli anni, ma è un DLC anche Blood and Wine, espansione di The Witcher 3 così grande da potersi definire quasi un gioco a sé stante.

Ma quindi: i DLC sono buoni o cattivi?
Generalmente acquistando un DLC si va sul sicuro: certo vedere 5 mappe al prezzo di 15€ (come Call of Duty fa da anni) sembra davvero una truffa al confronto degli onestissimi 20€ a cui è venduto Blood and Wine, ma non ci sentiamo di sindacare troppo su questo tipo di transazione; se il gioco vi piace e volete allungare la vostra esperienza, ben vengano acquisti di questo tipo.

2: SEASON PASS

Cosa succede quando i DLC diventano così tanti che, all’uscita del gioco, già ne sono stati promessi 4 o 5? Succede che nasce il season pass, un abbonamento immediatamente acquistabile che garantisce l’accesso a tutti i contenuti che saranno rilasciati durante l’anno (con ovviamente uno sconto rispetto al totale che si sarebbe speso acquistando ogni DLC singolarmente).

Il problema coi season pass è che sono dei salti della fede: non solo il loro prezzo è spesso pari a quello del gioco stesso (portando certi acquisti a superare praticamente singolarmente i 100€), ma soprattutto… se il gioco in sé finisse per essere brutto? O fossero brutti i DLC? E’ ciò che è successo ad esempio con Batman: Arkham Knight, i cui DLC furono rivelati solo dopo una campagna pubblicitaria che invogliava all’acquisto di season pass; a questo punto i giocatori scoprirono che i DLC non erano in realtà realizzati dalla stessa casa del gioco originale.

Le compagnie sono consapevoli di tutto ciò, e per questo spesso allegano ai loro season pass qualche contentino che possa invogliarne l’acquisto: da “prova i DLC prima di tutti gli altri” a “una settimana di punti esperienza doppi”, e cose simili.

Voi comunque non lasciatevi raggirare da simili specchietti per allodole; il nostro consiglio è quello di acquistare un season pass solamente se:
1) si ha intenzione di trascorrere un gran numero di ore sul gioco
2) si ha la certezza che il gioco non sarà un fallimento (scenario che potrebbe indurre la software house ad abbandonare il progetto prima del rilascio di tutti i DLC)
3) si ha la sicurezza che il season pass contenga TUTTI i contenuti che saranno rilasciati

Se, come per Assassin’s Creed Origins, vi serve una tabella per capire cosa andrete ad comprare fra DLC e season pass, forse è meglio acquistare davvero solo il gioco originale in barba a tutte le campagne pubblicitarie. O aspettare forti, forti scontistiche sui DLC narrativi.

3: MICRO-TRANSAZIONI

Ecco che si entra in una zona buia del mondo del videogaming. Una micro-transazione non è altro che un DLC dalle dimensioni molto ridotte: armature, armi, missioni singole, vesti per il personaggio (le cosiddette skin), o comunque scarni oggetti virtuali realizzabili nell’ordine delle decine e prezzabili da 1 a 5€ (con molta approssimazione).

Se questa definizione si fermasse qui non vi sarebbero altre raccomandazioni da fare, se non quelle già fatte per i DLC: purtroppo nel 2017 molte software househanno portato alle estreme conseguenze un certo atteggiamento avido e scorretto nei confronti delle micro-transazioni, per cui diversi videogiochi sono stati minuziosamente realizzati in modo da invogliare artificialmente il giocatore ad effettuare acquisti in-game. Una controversia che ha occupato gli ultimi mesi dell’anno appena trascorso, come emerge da analisi come questa (che i più nerd di sicuro apprezzeranno).

Un esempio di tutto ciò? Shadow of War. Secondo capitolo della saga ambientata nella Terra di Mezzo, SoW è perfettamente godibile fino a quando, verso il finale, il giocatore non sbatte contro un muro narrativo oltrepassabile solo col faticoso accumulo di molte risorse (il cosiddetto grinding). Un’impasse che, tuttavia, il gioco ci ricorda spesso di poter superare tramite l’acquisto di compagni extra con un po’ dei nostri sudati soldini.

Non solo la barriera di avanzamento presente in SoW è totalmente artificiale (inserita, probabilmente contro la volontà anche di qualche game designer, solo per incoraggiare tali acquisti aggiuntivi), ma pure è scandaloso che un titolo singleplayer presenti questo tipo di transazioni in principio. Se si parla di titoli multigiocatore il discorso è differente, in quanto si tratta di ambienti perennemente popolati in cui l’aggiunta di nuovi contenuti è sempre ben apprezzata; non è invece mai esistito che, in un’esperienza singleplayer narrativa ed autoconclusiva, fosse anche solo contemplata la possibilità di pagare. E’ come se a metà di Salvate il soldato Ryan comparisse un popup che vi ricorda che, per soli 4,99€, potete acquistare la versione uncut della scena dello sbarco in Normandia.

Microeconomie multiplayer

Anche il mondo dei titoli multiplayer comunque non si salva dalle nostre critiche: viene alla mente Battlefield 4, che con il suo sistema di avanzamento rapido permetteva di sbloccare nuovo equipaggiamento dietro versamento di qualche monetina. Una possibilità apparentemente innocua che, in realtà, nascondeva un sistema di avanzamento di livello reso artificialmente insormontabile così da incoraggiare l’acquisto di scorciatoie.

Ricapitolando, quindi: quali sono i micro-acquisti che vi stanno fregando?
1) Quelli forzosamente inseriti in un titolo per giocatore singolo.
2) Quelli con chiara sproporzione di prezzo rispetto al contenuto (si, stiamo pensando a te, set di armature per cavallo di Oblivion).
3) Quelli che, in un titolo multiplayer, vi promettono vantaggi che dovreste già avere.

Clicca qui per leggere la seconda parte dell’articolo.

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