Premessa in parte slegata dall’articolo principale, ma mi sembra il momento giusto: il fatto che, stando alle ultime notizie, MercurySteam abbia omesso dai Credits alcune persone coinvolte in Metroid Dread per via di sciocche policy mi manda in bestia. Non è giusto.
Sollevo lo sguardo dallo schermo. Come se mi fossi appena risvegliato da un sogno febbricitante, ripenso al viaggio appena concluso. ZDR, pianeta inospitale e minaccioso, da risalire dal suo cuore fino alla superficie, gironi infernali sostituiti da regioni interconnesse. Qual è stata la mia esperienza con Metroid Dread? Sono qui per parlarvene.
Stavolta ogni possibilità sembra essere stata compromessa per dar vita alla missione più difficile della cacciatrice di taglie Samus Aran. Ci si ritrova praticamente senza poteri, inermi di fronte ad un nuovo mondo da conoscere una stanza alla volta, in una mappa realizzata con maniacale cura secondo la tradizione dei Metroidvania. Perfino la fidata Morfosfera, una delle abilità simbolo della cacciatrice, è inizialmente esclusa dai giochi. Resta il Counter, mutuato da Samus Returns, che permette di affrontare fisicamente i nemici, per battaglie che col giusto tempismo possono risolversi in un solo decisivo istante.
Tension Gauge
I miei occhi si muovono rapidamente con agili scatti, mentre ripenso agli scontri con gli E.M.M.I. … o meglio, alle battute di caccia in cui il ruolo di preda e cacciatrice è inverso rispetto ai canoni della serie, finché non si trova una temporanea arma per bilanciare le forze. Il Dread, Terrore come parte del titolo si traduce in una tensione costante, che raggiunge le stelle quando si raggiungono le aree pattugliate dagli enormi ed invincibili androidi. Qui il sound design mostra la propria capacità di far raggelare il sangue, con i rumori e i segnali emessi dagli E.M.M.I.

Persino i nostri stessi passi possono rivelarsi i peggiori nemici, portandoci ad essere individuati. Il Counter, che in altri scontri risolve quasi ogni situazione, diventa qui un azzardo: la finestra per contrattaccare e avere una possibilità di fuga quando si viene intercettati è brevissima. Un approccio stealth è la scelta migliore, una volta sbloccato il potere della Copertura Spettro, che rende invisibili , da gestire con attenzione per nascondersi e non trovarsi esposti nel momento peggiore.
Nei terreni di caccia degli E.M.M.I. l’arredamento, se vogliamo così chiamarlo, è ridotto al minimo: una scelta che può non convincere, ma comprensibile nel momento in cui, scappando da uno degli inseguitori, diventa imperativo potersi focalizzare sugli elementi essenziali. Sicuramente, tornare in una di queste aree dopo aver giustiziato i letali androidi rende più evidente l’assenza di arzigogoli.
Incontri ravvicinati
La formula di base è Incontrare un E.M.M.I. – Esplorare – Ottenere il Cannone Omega per eliminarlo, ma ad evitare che possa risultare stantia per alcuni, si alternano visite a numerose aree in cerca di potenziamenti che possano essere utili, tramite cubi abilità o battaglie boss. Un elemento che sicuramente ho trovato superfluo è il miniboss da affrontare per ottenere il Cannone Omega ogni volta. Situato in un’area della zona di caccia, è sempre uguale, un cervello con un enorme occhio che pigramente solca la stanza, pronto per essere accarezzato dai nostri missili.
Tuttavia, i momenti immediatamente successivi, in cui si ottiene questa letale arma, sono alcuni tra i migliori che il gioco offre per intensità. Ci si sente quasi invincibili, quando Samus stende il braccio cannone carico, pronta alla vendetta.
Quasi, perché in realtà occorre trovare uno spazio adatto, per sciogliere prima lo scudo del volto inespressivo di un E.M.M.I., e infine caricare il missile che lo fermerà per sempre: operazioni che richiedono tempo, con attimi di attesa mentre il nemico si avvicina che possono sembrare durare un’eternità.
A spettacolarizzare ulteriormente questi frangenti la regia, che ci sposta dietro le spalle di Samus. In generale, ho apprezzato molto la gestione delle transizioni da filmati a gameplay e viceversa, e anche i quick time event presenti in alcuni scontri, pur con interazioni limitate, pompano non poca adrenalina.
La mano (in)visibile
Parlando più approfonditamente del mondo di gioco, ho trovato che la guida dei designer fosse nascosta, ma non troppo. Le aree sono enormi, ma facilmente attraversabili, e la presenza di segnalini personalizzabili e varie icone rende fluida la navigazione della mappa.
Il gioco fornisce le informazioni basilari per orientarsi, e una volta entrati in confidenza con lo“stile” di Dread, che prevede spesso l’assalto ad ogni centimetro di una stanza in cerca di blocchi nascosti da eliminare per procedere, diventa poi sempre più naturale aprire la mappa, dare un’occhiata alle aree esplorate, e individuare quella porta o area che ora è possibile raggiungere, grazie ad un nuovo Raggio o strumento.

Come notavo anche quando parlavo di Super Metroid, in Dread sono presenti momenti in cui apparentemente si è “in trappola”, perché magari spostare un blocco ha alterato la morfologia di una stanza, e possiamo visitare poche zone. In queste situazioni il messaggio implicito è che a breve troveremo un nuovo mezzo per procedere, o magari non stiamo guardando con sufficiente attenzione i dintorni.
Avanzare
Il senso di progressione, sia propria che di Samus, è tangibile, e fermarsi ad osservare e analizzare un’area sospetta può portare ad utilissimi power up in forma di riserve di energia e munizioni, essenziali per le battaglie più dure. Non mancano poi particolari upgrade ottenibili con peculiari usi dello Speed Booster, quasi dei trick, che coinvolgono più schermate.

I nemici non risparmiano un colpo, in quest’avventura che si può definire a tratti brutale. In ogni pattern esibito dagli avversari sono però intelligentemente nascoste finestre per schivare o attaccare, da imparare a sfruttare a proprio vantaggio. La parola chiave è pazienza: per chi si approccia per la prima volta alla saga entrare nel meccanismo di esplorazione, a cui si aggiungono in quest’occasione anche scontri particolarmente stratificati, e una mappatura dei tasti non immediatamente agevole, può richiedere più di qualche tentativo.
Debriefing

Cosa mi resta dell’avventura su ZDR? Per me, l’intensità, la capacità di alternare fasi estremamente intense a brevi momenti di distensione, l’equilibrio in una progressione che manipola segretamente, almeno fino alle fasi conclusive, ma a cui è piacevolissimo abbandonarsi in una corsa sfrenata alla ricerca della salvezza.
Una sensazione comune ad altri metroidvania a cui ho giocato, tra cui Super Metroid, Hollow Knight, Ender Lilies, tenendo comunque conto delle varie differenze nell’approccio, e che ho ritrovato in Dread, è il potere che si sente di aver acquisito sulla mappa di gioco una volta arrivati alla fine.
Pezzo dopo pezzo, una porta dopo l’altra, ZDR, questo gargantuesco mondo inizialmente estraneo e alieno diventa quasi… una casa. O ancora, per restare in tema, la propria zona di caccia. Con buona pace degli E.M.M.I.
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Per approfondire:
- Un mio articolo da ospite su NintenDoomed dedicato al legame invisibile tra Yoshio Sakamoto, designer al lavoro sulla saga di Metroid e producer di Dread, e il regista Dario Argento.
- Gene Park del Washington Post dialoga con David Jaffe della difficoltà intrinseca dei Metroid, tema riemerso con Dread.
- Questo articolo di Gameromancer sui Metroidvania, accompagnato da un episodio del podcast.