Encodya

Available Platforms
Release Date

26 gennaio 2021

Developer

Chaosmonger Studio

Publisher

Assemble Entertainmen

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Neo Berlino, 2062. Tina, un'orfana di nove anni, vive con SAM-53, il suo grosso e impacciato robot guardiano, in un riparo di fortuna su un tetto di Neo-Berlino, una megalopoli oscura controllata dalle corporazioni. Tina è una bambina cresciuta nella giungla urbana, e ha imparato a vivere da sola rovistando nei cassonetti della città e guadagnandosi da vivere con i rottami. Il suo strambo robot, programmato per proteggerla a tutti i costi, la segue sempre. Un giorno la bambina scopre che suo padre le ha lasciato una missione importante: completare il suo progetto per salvare il mondo dal grigiore! Tina e SAM si imbarcano in un'avventura incredibile che li porterà in realtà diverse piene di creature robotiche e esseri umani grotteschi. Attraverso enigmi e dialoghi emozionanti scopriranno il vero significato della vita.

Le avventure punta-e-clicca sono divenute negli ultimi anni il pane quotidiano dell’industria nostrana.  E’ interessante notare come a distanza di anni dal boom del genere, sicuramente riconducibile all’età d’oro della LucasArts, l’Italia (ri)scopra il videogioco e lo faccia, tra l’altro, proprio e soprattutto con un genere tanto peculiare. Molteplici ci paiono i motivi di questa predilezione artistico-produttiva: in primis, non basandosi su un sistema produttivo efficace, competitivo e all’avanguardia, il videogioco nostrano è finanziariamente debilitato. Ecco spiegata l’adozione di un approccio spiccatamente indipendente e la scelta di un genere – come il punta-e-clicca – mediamente economico.

Il secondo motivo, ben più complesso da spiegare in questa sede, è dato dalla mancata ricerca di uno specifico videoludico, di cui avremo modo di parlare in maniera ben più approfondita in un futuro articolo. Un’espressione artistica autonoma su un piano estetico necessita di una propria ontologica vocazione: uno specifico, per l’appunto, che la differenzi dagli altri media e la nobiliti in quanto arte. Ci pare infatti che il videogioco – come forma d’arte – sia spesse volte ancora troppo debitore della narrazione filmica. Che tenti con tutte le sue forze di avvicinarsi ad essa per esserne nobilitata di riflesso. Logica conseguenza di questa immaturità vocazionale, il punta-e-clicca diviene negli anni ’90 sinonimo di film interattivo. Un cine-gioco, più che un videogioco. Non è dunque un caso che la LucasArts, fondata dall’omonimo regista George Lucas, si chiamasse in origine LucasFilm Games.

 

 

 

 

 

Da sinistra a destra, rispettivamente: Full Throttle, Grim Fandango e Day of the Tentacle

 

 

 

L’incapacità del videogioco di staccarsi dal seno materno ha portato alcuni creativi (Telltale Games, Dontnod Entertainment) a riformulare il genere, dando al giocatore la possibilità di plasmare la storia in fieri. Questi titoli mutano la posizione del fruitore da una condizione di passività spettatoriale ad un ben più attivo ruolo demiurgico. Anche qui, tuttavia, le scelte compiute dal giocatore portano o ad un medesimo finale, oppure ad una rosa – più o meno nutrita – di possibili conclusioni. Una libertà vigilata a tutti gli effetti. Scelte illusorie che fanno ricadere il videogioco nella morsa del creativo, ancora saldamente ancorato ad una concezione narratologica tipicamente filmica. Limiti di un medium splendidamente metaforizzati da Ken Levine nel suo Bioshock Infinite, ma questa è un’altra storia.

 

 

 

Bioshock Infinite e l’illusorietà della scelta

 

 

 

 

 

 

Ritornando al nocciolo della questione, è normale dunque pensare che in Italia l’approdo del mercato ludico debba avvenire – e sia effettivamente avvenuto – con una legittimazione artistica piuttosto ingombrante: il cine-gioco. Ecco dunque trovata una rapida risposta alla questione posta in essere all’inizio di questo articolo. Il punta-e-clicca ha trovato terreno fertile in virtù di una storia videoludica neonata. Una tappa obbligatoria per il videogioco italiano, che solo ora inizia a fare i primi importanti passi, e che ha bisogno di assurgere a cinema per non sentirsi in difetto.

Non stupisce più di tanto che il gioco quest’oggi preso in esame, Encodya, sia stato proprio realizzato da chi non solo ha un grande debito con la cultura filmica, ma proprio da chi la suddetta la alimenta di propria mano. Già regista di Attack of the Cyber Octopuses (2017) e Robot Will Protect You (2018), corto che spiana il terreno al futuro di Encodya, Nicola Piovesan decide – insieme ai ragazzi di Chaosmonger Studio – di abbandonare per una volta macchina ed obiettivi per dedicarsi appieno alla decima arte, realizzando un’avventura grafica postmoderna che mesce con creatività l’immaginario cyberpunk di Blade Runner con la dolcezza morale delle opere Ghibli.

 

 

 

Encodya

Il mio vicino S.A.M.-53

Tina, un’imberbe ragazzina dei sobborghi della futuristica e decadente Neo Berlino, passa il suo tempo in compagnia del robot balia S.A.M.-53. Rimasta orfana in tenerissima età, la piccola – di appena nove anni – è stata difatti cresciuta dal droide, unica sua vera figura genitoriale. Le giornate nella città-crogiolo, melting pot di culture tra le più diversificate (basti pensare alla grandissima influenza nipponica nell’architettura cittadina, eco della Neo Tokyo di Akira), trascorrono nella più miserevole ricerca di cibo ed acqua. Una lotta per la sopravvivenza che non si dovrebbe addire ad una così inerme ragazzina, ma che disvela la doppia natura di una città ossimorica: rutilante di progresso da un lato, e corrotta dalla più bieca indigenza dall’altro. Una contrapposizione atavica ed alquanto stereotipica per il genere di riferimento, ma che non mostrandosi mai apertamente coinvolta nello sviluppo narrativo, rimane ai margini: nella definizione di un contesto dato in mano alle immagini, e non alle parole.

 

 

 

 

 

 

 

 

Di ritorno da un consueto giro di approvvigionamento, Tina scopre però che il suo rifugio di fortuna è stata depredato in cerca di un qualcosa, o – per meglio dire – di un qualcuno. Pare infatti che S.A.M.-53 non sia un semplice ed innocuo robot bàlia, ma che nasconda al suo interno un succoso segreto, a cui – apparentemente – sono interessate anche le istituzioni cittadine. Un messaggio da parte del padre scomparso, contenuto nel droide e promesso a Tina per il suo decimo compleanno, portano dunque l’insolita coppia ad intraprendere un’avventurosa odissea alla scoperta di un segreto taciuto per fin troppo tempo, braccati da un sindaco egomaniaco e dalle sue nutrite milizie.

Encodya, nonostante delle buone premesse, ci propone un intreccio piuttosto classico, poco ispirato e dal ritmo generalmente altalenante. Pare difatti che le battute finali dell’avventura – per mancanza di tempo o budget – subiscano una brusca accelerata, rispetto ai toni più pacati, lineari e obiettivamente lenti delle prime fasi di gioco. La durata complessiva dell’avventura, che si attesta sulle circa 8 ore, ci è parsa fin troppo longeva per un titolo che, pur pregno di passione, racconta in fin dei conti una tra le più classiche e convenzionali storie di formazione. Il sottotesto ecologista, mutuato dalle pellicole Ghibli (chiara fonte di ispirazione –  per sua stessa ammissione – di Nicola Piovesan), ci è invece sembrato meno superficiale e più interessante, sebbene pecchi, come molte tra le tematiche affrontate, di un vero e proprio approfondimento. Una problematica che infligge invero anche i protagonisti, quasi tutti privi di un background e di un vero e proprio spessore.

 

 

 

 

 

 

 

 

L’amore per il cinema di Piovesan traspare fin dal primo istante di Encodya: l’aria rarefatta, i gargantueschi grattacieli vitrei, le accecanti insegne al neon; tutti elementi che denunciano un amore smisurato per il postmoderno scottiano. Un cyberpunk atipico, tuttavia, che riesce nella non facile impresa di far convolare a nozze Otomo (apertamente citato) e Miyazaki, in un miscuglio d’influenze inaspettatamente riuscito. L’estetica plumbea di Blade Runner incontra la dolcezza e la grazia della narrazione fiabesca con una tale armonia da lasciar senza fiato. Gli echi filmici e le ben più aperte citazioni (come lo spaventapasseri de Il castello errante di Howl, qui automatizzato), non appaiono mai stucchevoli o fuori luogo, o figlie di un fan service deteriore, ma tutt’altro: nel loro presentarsi anche fugacemente, le citazioni rimandano ad una nostalgia benigna, che non ha mai il peso di un fastidioso passatismo.

 

 

 

Punta e clicca

Da un punto di vista ludico, Encodya si presenta in maniera piuttosto classica. Un punta-e-clicca dal sapore retrò che ha ben poco da aggiungere ad un genere tanto saturo. E’ logico dunque pensare che la target audience del prodotto nostrano sia inevitabilmente quella sì nutrita fetta di videogiocatori che vent’anni fa erano alle prese con i vari Maniac Mansion e Monkey Island. Ebbene, ciò che questi nostalgici si troveranno d’innanzi, con i dovuti distinguo, è un’avventura grafica dall’impostazione alquanto tradizionale.

 

 

 

 

 

 

In Encodya saremo chiamati ad utilizzare due personaggi (Tina e S.A.M-53), selezionabili in qualsiasi momento dell’avventura. Ciascuno avrà a disposizione interazioni specifiche e ben differenziate in grado di donare un pizzico di profondità in più alla formula di gioco. Per via della sua stazza e della sua forza, S.A.M-53 è per esempio in grado di raggiungere oggetti posti in luoghi sopraelevati o di spostare dei pesi troppo gravosi per una bambina. Di contro, Tina è capace di compiere azioni non previste dal codice del robot, o di interagire con persone che all’effettivo non vogliono nemmeno proferire parola con il droide. Si tratta insomma di un gradevole plus ad un gameplay che – per il resto – rimane piuttosto ancorata agli stilemi archetipici del genere: risolvere una sequela di enigmi di difficoltà crescente. C’è tuttavia da dire che questi ultimi non ci sono mai risultati eccessivamente artificiosi o – viceversa – semplicistici, ma sempre ben bilanciati all’interno di un’avventura che, tirando le somme, ci ha saputo complessivamente intrattenere.

 

 

 

 

Comparto tecnico

Encodya, per quanto concerne gli aspetti visivi, è un classico punta-e-clicca 2.5D senza infamia e senza lode. Nonostante gli scenari risultino il più delle volte stupefacenti, nonostante qualche texture mal gestita e non propriamente di eccelsa qualità, il vero problema della gestione grafica di Encodya risiede nella modellazione poligonale e nelle animazioni. Per quanto il modello di S.A.M.-53 ci abbia convinto, così come quello dei vari robot che avremo modo di incrociare lungo il nostro cammino, altrettanto non possiamo dire per gli umani, (volutamente) sproporzionati e grotteschi ma – nostro malgrado – non del tutto convincenti, soprattutto nelle cutscene. Queste ultime in particolar modo mostrano il fianco ad un’inevitabile quanto incriticabile mancanza di budget, di sicuro non bastevole ad una realizzazione appropriata di ogni aspetto di gioco. Nulla da dire invece sul fronte più meramente tecnico. Anche su un pc di fascia bassa – su cui abbiamo avuto modo di provare una delle nostre due run – il gioco riesce a girare senza limitazione alcuna, privo di qualsiasi bug, calo di frame o errore di sorta.

 

 

 

Conclusione

Encodya è un gioco nostalgico, realizzato da nostalgici per nostalgici. Non è di sicuro un’innovazione nel genere, ma farà sicuramente la gioia di quella nutrita fetta di tenaci appassionati dei punta-e-clicca. Un titolo piuttosto classico, narrativamente lineare e privo di un mordente tematico che ne giustifichi appieno il prezzo. Un videogioco che, nonostante ciò, ci ha saputo intrattenere, grazie soprattutto ad un gameplay generalmente stimolante che strizza sapientemente l’occhio ai capisaldi del filone. Lodevole è anche – infine – la capacità del tutto inaspettata del director di saper mescolare in maniera tanto raffinata due immaginari – quello cyberpunk e quello fiabesco – così apparentemente distanti tra loro. Peccato solo che ciò non basti a salvare un intreccio a tratti fin troppo superficiale e sbrigativo.

 

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Recensione di Giorgio Fraccon

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7

Good

Pros

  • Pane per gli amanti del genere
  • Generalmente intrattenente
  • Ottimo connubio di ispirazioni così apparentemente eterogenee
  • Uso sapiente del citazionismo
  • Scenari a dir poco stupendi...

Cons

  • Narrativamente lineare e poco approfondito
  • ... i modelli poligonali, di contro, non ci hanno affatto convinto
  • Fin troppo classico nell'intreccio e nel gameplay: nulla di innovativo
  • Fin troppo longevo